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Rotazione Passiva omolaterale in estensione

Inclinazione laterale verso sinistra con rotazione omolaterale in estensione (congiungente, C2-T3)

Rotazione attiva

Il paziente ruota attivamente la testa il più possibile in direzione dell’estensione, con inclinazione laterale e rotazione verso sinistra.

Presa manuale

Il terapista è in piedi lateralmente rispetto al paziente. Con una mano blocca posteriormente la spalla sinistra del paziente. Con l’altra mano si appoggia lateralmente all’osso occipitale, davanti all’asse motorio. Il terapista trattiene la testa da sinistra e la porta verso la propria spalla.

Inclinazione laterale verso destra con rotazione omolaterale in estensione (congiungente, C2-T3)

Bologna, colonna vertebrale, Daniele Carlesso, Movimenti attivi e passivi, muscoli, Osteopostural

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Segmento Cervicale

BioMeccanica

Articolazioni della testa (Co-C2)

Superfici Articolari

C0/C1: articolazione atlantoccipitale

Condili occipitali: convessi

Faccette articolari superiori: concave

C1/C2: articolazione atlantoassiale mediana

Faccetta articolare anteriore: convessa

Fossetta del dente: concava

C1/ C2: articolazione atlantoassiale laterale

Faccette articolari interiori dell’ atlante: convesse

Faccette articolari superiori dell’ asse: convesse

Piano di trattamento

C0/C1: in orizzontale sulle faccette.

Scivolamento

C0/C1: durante la flessione entrambi i condili scivolano dorsalmente, durante l’estensione ventralmente. Nella rotazione a destra il condilo di sinistra scivola ventralmente, quello destro dorsalmente (durante rotazione a sx avviene il contrario). Nell’inclinazione laterale i condili scivolano controlateralmente (regola del convesso).

C1/C2: durante la flessione, l’arco anteriore dell’atlante scivola verso il basso lungo il dente dell’asse, quello posteriore verso l’alto. Durante la rotazione, l’atlante ruota intorno al dente dell’asse.

Strutture di interesse clinico

Dente dell’asse, legamento trasverso dell’atlante, legamenti alari, arteria vertebrale, nervi spinali C1, e C2, nervo trigemino.

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Tipo e Posizioni dell’Articolazione

Terapia Manuale – Ugo Wolf

Posizione di riposo 

La testa è in posizione mediana tra flessione ed estensione. In caso di inclinazione laterale e rotazione, la sua posizione è neutra.

Movimento congiunto 

Flessione: inclinazione laterale con rotazione controlaterale Estensione: inclinazione laterale con rotazione controlaterale. 

Movimento disgiunto 

Flessione: inclinazione laterale con rotazione omolaterale Estensione: inclinazione laterale con rotazione omolaterale.  Questo movimento è però ostacolato dalla guida del legamento tesa oppure, se è possibile, lo è solamente una minima ampiezza di movimento.

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Osteocinematica e Artrocinematica

Terapia Manuale – Ugo Wolf

Posizione delle articolazioni

Posizioni iniziali e pattern patologico

Posizione neutra (zero neutro)

Si tratta di una posizione definita per ciascuna articolazione, alla cui misurazione si procede applicando il metodo dello zero neutro di Debrunner. Nel soggetto in posizione eretta, l’assetto di tutte le articolazioni corrisponde al grado O. Le braccia sono disposte in modo tale che i palmi delle mani risultano rivolti in avanti. La posizione iniziale per la misurazione di flessione ed estensione nell’articolazione del gomito è l’estensione, mentre nella stessa articolazione la misurazione di pronazione e supinazione segue una flessione di 90°.

Esempio: Spalla

Il braccio è parallelo rispetto al tronco, i palmi delle mani sono rivolte in avanti.

Posizione di Riposo

La posizione di riposo è la posizione assunta durante l’esame del gioco articolare. Gli elementi della coppia articolare sono al minimo livello possibile di contatto, i muscoli e la capsula articolare con relativi lega-menti sono al massimo livello di rilassamento. Poiché in questa posizione il gioco articolare è al massimo livello, è possibile riscontrarvi al meglio eventuali ipomobilità dell’apparato capsulolegamentoso.

Esempio: Spalla

Abduzione di 55° e adduzione orizzontale di 30°

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Punti trigger NoN-Miofasciali


Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia, PUNTI TRIGGER.

Punti trigger cutanei e cicatriziali

Alcuni studi (da Sinclair a Trommer e Gellman) non fanno pensare ad una costanza nelle distribuzioni topografiche spaziali del dolore proiettato dei PT cutanei, simile a come invece osservato per i PT miofasciali. Inoltre, in questi resoconti e nelle nostre stesse osservazioni, non c’era alcuna indicazione che le zone di proiezione dei PT cutanei abbiano relazione con le zone di proiezione dei PT nei muscoli sottostanti.

Nella nostra esperienza, i PT che riferiscono dolore urente, o dolore da puntura, o da trafittura lancinante, vengono solitamente trovati nelle cicatrici cutanee. Tali PT cutanei possono essere inattivati tramite infiltrazioni intradermiche precise di soluzione di procaina allo 0,5%, o con la ripetuta applicazione di un unguento a base di un anestetico locale, l’idrocloruro di dimetisoquina.

Punti trigger fasciali e lamentosi

Oltre ai PT presenti nella fascia e nei tendini dei muscoli, essi possono anche essere localizzati nelle capsule articolari e nei legamenti.Kellgren ha dimostralo sperimentalmente che l’epimisio fasciale del muscolo medio gluteo proiettava il dolore a distanza di parecchi centimetri quando veniva infiltrato, proiettava dolore alla parete mediale della caviglia e del collo del piede.

Travel ha segnalato una distorsione acuta della caviglia accompagnata da 4 PT nella capsula articolare, ognuno dei quali proiettava dolore alla caviglia e al piede. I PT miofasciali, che derivano da distorsione acute del ginocchio, caviglia, polso ed articolazione metacarpofalangea del pollice, causavano un dolore proiettato che veniva dapprima stimolato, e poi permanentemente risolto, infiltrando ogni PT con soluzione salina fisiologica. Leriche ha identificato dei PT legamentosi a seguito di frattura o distorsione; i PT rispondevano completamente a 5 o 6 infiltrazioni di anestetico locale. Gorrellha rivisto l’anatomia dei legamenti della caviglia ed ha descritto una tecnica per l’identificazione e l’infiltrazione dei PT legamentosi in questa articolazione.

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Reperti di Laboratorio

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia.

 

  1. I test di laboratorio di routine non mostrano anomalie od alterazioni attribuiti di per sé ai punti trigger miofasciali. 

    La velocità di eritrosedimentazione, lo SMA 6 e 12, l’esame emocromocitometrico e gli enzimi muscolari serici sono tutti normali. Verranno segnalati in seguito degli anormali reperti serici dell’isoenzima dell’ LDH. Comunque, molti fattori perpetuanti si rendono evidenti con i test di laboratorio. Le radiografie, anche se effettuate con tecniche per i tessuti molli e le tomografie computerizzate, non hanno rivelato caratteristiche collegabili ai PT miofasciali. Con tecniche di immagine radiografica più avanzate, questa situazione potrà modificarsi.

  2. L’esame elettromiografico a riposo dei muscoli coinvolti non rivela anormalità diagnostiche.

    L’esperienza clinica secondo cui le fibre muscolari tese, in rapporto con PT miofasciali, non mostrano attività EMG a riposo. Comunque, il numero di potenziali polifasici non fu quantificato e comparato con valori di controllo nei muscoli sani nello stesso paziente. Occasionalmente, durante l’esame EMG, l’ago può accidentalmente incontrare un PT, e così produrre una rapida contrazione locale, chiaramente palpabile e visibile attraverso la cute che sovrasta il muscolo, insieme ad un “segno del sobbalzo” del paziente. L’associata attività EMG ha l’aspetto dei normali potenziali d’inserimento.

  3. L’attività spontanea dell’unità motoria in un muscolo con punti trigger può svilupparsi secondariamente.

    Può esservi attività spontanea dell’unità motoria, quando quel muscolo si trova all’interno della zona di proiezione del dolore di un PT in un altro muscolo. Un dato muscolo può anche sviluppare uno spasmo protettivo per attenuare la tensione causata dai PT di un muscolo adiacente (parallelo) della stessa unità miotattica. Un muscolo che contenga PT attivi mostra spesso attività EMG “a riposo” quando è allungato fino al punto del dolore od oltre.

  4. Uno studio ha riportato normali concentrazioni degli enzimi serici, ma uno spostamento nella distribuzione degli isoenzimi-LDH.

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Stimoli DIRETTI – INDIRETTI

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia.

Reperti all’esame obiettivo.

  1. Quando i PT attivi sono presenti, l’allungamento passivo o attivo del muscolo colpito aumenta il dolore. Questa risposta è stata dimostrata in una serie di pazienti.

    Stirando il muscolo, circa alla lunghezza alla quale inizia il dolore, appare anche l’attività EMG (spasmo protettivo) del muscolo. Essa aumenta ulteriormente la tensione sulle fibre muscolari e rende ancora più doloroso l’ulteriore allungamento. Lo spasmo blocca l’ulteriore allungamento del muscolo, a meno che vengano presi dei provvedimenti terapeutici per inibire tale risposta.

  2. La possibilità di allungamento passiva è limitato.

    L’aumentata tensione delle bandelette contratte non permetterà al muscolo di estendersi fino alla sua completa lunghezza. Tentativi forzati di fare ciò sono particolarmente dolenti.

  3. Il dolore aumenta quando il muscolo colpito è fortemente contratto contro una resistenza fissa.

    Questo effetto dei PT è particolarmente marcato quando il muscolo è posto in una posizione di accorciamento prima dello sforzo di contrazione.

  4. La massima forza contrattile di un muscolo colpito è diminuita.

    La debolezza può solitamente essere dimostrata studiandone la forza, e non è associata con atrofia del muscolo o con dolore, a meno che il paziente non sia spinto allo sforzo massimo.

  5. Dolenzia profonda e disestesia sono comunemente proiettati dai PT attivi miofasciali alla zona del dolore proiettato.

    Queste alterazioni sensitive trovate nelle regione dove il paziente si lamenta del dolore sono doppiamente fuorvianti per la persona non competente.

  6. Disturbi funzionali non sensitivi sono qualche volta indotti nella zona di proiezione di un PT miofasciale.

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Punti di Valleix

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia, PUNTI VALLEIX

Valleix

descrisse dei punti dolenti che egli riteneva fossero localizzati lungo i nervi. L’aver focalizzato in modo autorevole l’attenzione sui nervi piuttosto che sui muscoli, distolse l’attenzione dei suoi numerosi seguaci dalla natura proiettata del dolore e della sua origine muscolare.

Reumatismo MonoArticolare

Generalmente il termine “reumatismo non-articolare” è stato usato come termine generico per indicare una ampia varietà di situazioni. Seguendo la definizione dell’American Rheumatological Association, si incluse nel termine fibrosite, la sindrome del tunnel carpale dovuta a compressione del nervo mediano al polso, i noduli fibroadiposi lungo la cresta iliaca, ed altre situazioni patologiche. E’ anche usato occasionalmente per intendere specificatamente i PT miofasciali.

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PT MIOFASCIALI – TERMINI SOLITAMENTE SINONIMI – Parte 2°

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia, PUNTI TRIGGER

I seguenti termini sono qualche volta usati come sinonimi di “PT miofasciale”, ma altre volte hanno significati differenti. Quando si legge la letteratura, bisogna comprendere in che senso l’autore stia usando tali termini.

Fibrosite

Di tutti i marchi applicati alle sindromi dolorifiche muscolari, la fibrosite causa la maggior confusione, perché è stata usata per uno spettro estremamente ampio di definizioni che si sovrappongono e che sono in conflitto tra loro. Per citare Waylonis, “la Fibrosite significa molte cose differenti per molte persone”.

Gowers introdusse la parola “fibrosite” nel 1904, come termine indicante il reumatismo muscolare, citando esempi nelle regioni del collo, della spalla, e lombosacrale. La sua descrizione del reumatismo muscolare poteva rappresentare il dolore miofasciale dovuto a PT. Attribuì l’indurimento palpabile dei muscoli a “infiammazione dei tessuti fibrosi dei muscoli”. Stockman, nello stesso anno, mostrò la prova anatomopatologica che i noduli (bandelette palpabili) nel “reumatismo cronico” erano zone di iperplasia infiammatoria nel tessuto connettivo di cute, muscolo, grasso sottocutaneo, fascia o periostio. Successivamente utilizzo la “fibrosite” di Gowers, per i suoi reperti anatomopatologici. Il “matrimonio” di queste due idee fu consacrato dalla Società Reale di Medicina.

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