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Tag: muscoli

Protocollo Diagnostico

TECNICHE ENERGIA MUSCOLARE

L’obiettivo dell’osteopata sta nell’interpretare il modo di funzionare di un essere umano sul piano fisico (quindi strutturale e metabolico), mentale e psichico.

Egli ricerca ciò attraverso la valutazione funzionale dell’apparato muscolo-scheletrico, individuando ed interpretando la cosiddetta “disfunzione somatica”.

La valutazione osteopatica, si avvale, dopo accurata anamnesi, dei normali metodi di diagnosi clinica, ma soprattutto di osservazione e palpazione.

Si è detto che la disfunzione somatica, qualunque sia la sede di indagine, viene classificata attraverso tre criteri:

  • simmetria reciproca di parti del sistema muscolo-scheletrico;
  • densità (consistenza) del tessuto testato;
  • ampiezza di movimento di un’articolazione o di un’area di tessuto.

Ogni professionista, seppur seguendo linee comuni, sembra utilizzare un diverso protocollo come processo diagnostico e questo porta alla scelta del tipo di trattamento che riterrà più idoneo.

Come sempre la posizione dell’operatore è fondamentale per una corretta valutazione e deve essere adeguata in rapporto alla posizione e alle caratteristiche morfologiche/cliniche del soggetto esaminato e all’area che si sta valutando.

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APPARATO SCHELETRICO | Sede e Rapporti

La maggior parte della Massa Corporea è costituita da tessuto connettivo nelle sue svariate Forme:

fibroso, cartilagineo, osseo, adiposo, ecc. Il costituente fondamentale di questi tessuti è la fibra, una proteina secreta sotto forma di filamenti dalle cellule.

Sono proprio queste fibre, denominate collagene, che legano assieme le varie parti del corpo integrandole in una costruzione unitaria. Per esempio nell’avambraccio o nella gamba le ossa che ne formano il supporto principale sono quasi completamente rivestite da  una formazione fibrosa, Il Periostio, che si continua con la fascia profonda la quale è, a sua volta, una sottile guaina fibrosa che avvolge li muscolo scheletrico per contenerlo e fissare i vasi sanguiferi e i nervi in transito.

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COLORARE L’ANATOMIA

1. Colorare i quattro piani del corpo con colori tenui.
2. Colorare le direzioni anatomiche (frecce) con colori brillanti o scuri in modo da metterle in risalto.
3. Il corpo non deve essere colorato.
 

Il corpo umano affascina quasi tutti, ma solo pochi hanno l’occasione di studiarlo. Lo scopo di questo (primo e poi a seguire) articolo è, per l’appunto, di offrire quella possibilità con il minimo sforzo mnemonico ed il massimo appagamento personale. L’apprendimento attivo viene stimolato attraverso la colorazione di tavole ordinate secondo gli apparati del corpo. Prima di iniziare a colorare è indispensabile studiare le “Istruzioni molto importanti”, che riguardano “l’Introduzione all’anatomia macroscopica” e “l’Organizzazione del corpo” prima di passare oltre.

TAVOLA 1

  1. Colorare i quattro piani del corpo con colori tenui.
  2. Colorare le direzioni anatomiche (frecce) con colori brillanti o scuri in modo da metterle in risalto.
  3. Il corpo non deve essere colorato.

TERMINOLOGIA

Per descrivere la sede, i rapporti e l’orientamento delle diverse parti del corpo umano si è via via stabilita una serie di termini precisi e di piani.

  • Onde evitare confusioni, la terminologia deve sempre fare riferimento alla posizione anatomica standard: stazione eretta, con il palmo delle mani rivolto in avanti.

I piani sono linee fisse di riferimento lungo le quali il corpo viene spesso diviso (sezionato) per facilitarne l’osservazione della struttura. Studiando e una regione secondo i tre piani di riferimento, sagittale, trasversale e frontale,se ne può ottenere una prospettiva tridimensionale.

I termini posizione e direzione indicano la sede di un organo rispetto ad un altro, di solito in relazione ad uno dei tre piani principali del corpo.

PIANI DEL CORPO MEDIANO (a)

Il piano passante per la linea mediana che divide il corpo in due metà simmetriche, destra e sinistra.

SAGITTALE (b)

Il piano parallelo al piano mediano che divide il corpo in due parti disuguali (asimmetriche), destra e sinistra. I termini mediale e laterale si riferiscono a questo piano.

FRONTALE o CORONALE (c)

Il piano che divide il corpo in due metà asimmetriche, ventrale e dorsale. I termini anteriore e posteriore si riferiscono a questo piano.

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Rotazione Passiva omolaterale in estensione

Inclinazione laterale verso sinistra con rotazione omolaterale in estensione (congiungente, C2-T3)

Rotazione attiva

Il paziente ruota attivamente la testa il più possibile in direzione dell’estensione, con inclinazione laterale e rotazione verso sinistra.

Presa manuale

Il terapista è in piedi lateralmente rispetto al paziente. Con una mano blocca posteriormente la spalla sinistra del paziente. Con l’altra mano si appoggia lateralmente all’osso occipitale, davanti all’asse motorio. Il terapista trattiene la testa da sinistra e la porta verso la propria spalla.

Inclinazione laterale verso destra con rotazione omolaterale in estensione (congiungente, C2-T3)

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Rotazione Passiva con RANGE di movimento aumentato  

Disturbi irradianti avvertiti nel braccio impegnato nella rotazione possono indicare la presenza di un disturbo motorio a livello delle strutture neurali. In tal caso, al di sopra del gomito o dell’articolazione della mano è possibile differenziare tra cause neurali e cause muscolari.

Rotazione Passiva con range di movimento aumentato

Dopo aver fatto rilassare il paziente il terapista ne mobilizza la testa con una rotazione passiva a range di movimento aumentato verso la massima flessione, con inclinazione laterale e rotazione verso sinistra.

Rotazione passiva

Con una rotazione passiva il terapista mobilizza la testa dalla posizione mediana alla posizione di massima flessione, con inclinazione laterale e rotazione verso sinistra.

Analogamente, alla regione delle articolazioni della testa è possibile applicare i movimenti di flessione ed estensione con inclinazione laterale e di rotazione controlaterale.

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 Movimenti Angolari Attivi e Passivi

Flessione (Co-T3)

Rotazione attiva

Il paziente ruota attivamente la testa il più possibile in direzione della flessione. 

Presa manuale 

Il terapista blocca l’Acromion della spalla del paziente da lui stesso girata. Cinge posterolateralmente l’osso occipitale, così da posizionare il margine del mignolo circa all’altezza della base del cranio. Inoltre il terapista blocca con il proprio corpo la spalla del paziente rivolta verso di sé.

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 Palpazione delle Relative Parti Molli


 Segmento cervicale della colonna vertebrale
TERAPIA MANUALE ISBN 978-88-7051-356-l

Muscoli della cintura pettorale e muscoli della nuca superficiali

Muscolo trapezio, parte ascendente

Il terapista afferra il muscolo trapezio tra pollice e dita. Il muscolo viene prima rilassato, se necessario attraverso il sollevamento passivo della cintura pettorale. Nella regio­ne mediale viene apprezzato alla palpazione anche il mu­scolo elevatore della scapola.

Muscolo sternocleidomastoideo

Il decorso del muscolo sternocleidomastoideo è apprez­zabile al tatto dal processo mastoideo al manubrio dello sterno. Se necessario, la palpazione può essere semplificata qualora il paziente estenda isometricamente il SCCV, con­trastando la resistenza opposta dal terapista in inclinazio­ne laterale sul lato da palpare, e in rotazione controlate­ralmente.

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Malattie Muscolo Scheletriche

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia, PUNTI TRIGGER.

Tre categorie principali di malattia muscolo-scheletrica devono essere distinte dalle sindromi dei PT miofasciali: miopatie, artriti ed artrosi, ed infiammazione locale delle strutture muscolo-scheletriche,  come tendinite e borsite.

Miopatie

Le miopatie genetiche sono generalmente caratterizzate da debolezza non dolorosa dei muscoli prossimali; il dolore, se presente, è solitamente un disturbo minore. Nel caso dei PT miofasciali, il dolore è solitamente il disturbo principale.

La polimiosite e la dermatomiosite non sono rare.

La forma Polimiositica inizia come una debolezza indolore dei muscoli prossimali nell’85% circa dei casi. Le eccezioni si presentano con un notevole dolore alle natiche, nelle articolazioni e nei polpacci; il dolore spesso indica la presenza di artrite come manifestazione della polimiosite, o la combinazione della polimiosite con un’altra malattia del tessuto connettivo. Solo molto raramente si evidenzia una infezione sistemica. I livelli degli enzimi muscolari, come la creatininfosfochinasi (CPK) e LDH sono aumentati nella miosite ma sono normali nelle sindromi dei PT miofasciali, a meno che non vengano aumentati dalla necrosi secondaria all’infiltrazione intramuscolare di un anestetico locale a lunga azione.

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PT MIOFASCIALI – TERMINI SOLITAMENTE SINONIMI – Parte 2°

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia, PUNTI TRIGGER

I seguenti termini sono qualche volta usati come sinonimi di “PT miofasciale”, ma altre volte hanno significati differenti. Quando si legge la letteratura, bisogna comprendere in che senso l’autore stia usando tali termini.

Fibrosite

Di tutti i marchi applicati alle sindromi dolorifiche muscolari, la fibrosite causa la maggior confusione, perché è stata usata per uno spettro estremamente ampio di definizioni che si sovrappongono e che sono in conflitto tra loro. Per citare Waylonis, “la Fibrosite significa molte cose differenti per molte persone”.

Gowers introdusse la parola “fibrosite” nel 1904, come termine indicante il reumatismo muscolare, citando esempi nelle regioni del collo, della spalla, e lombosacrale. La sua descrizione del reumatismo muscolare poteva rappresentare il dolore miofasciale dovuto a PT. Attribuì l’indurimento palpabile dei muscoli a “infiammazione dei tessuti fibrosi dei muscoli”. Stockman, nello stesso anno, mostrò la prova anatomopatologica che i noduli (bandelette palpabili) nel “reumatismo cronico” erano zone di iperplasia infiammatoria nel tessuto connettivo di cute, muscolo, grasso sottocutaneo, fascia o periostio. Successivamente utilizzo la “fibrosite” di Gowers, per i suoi reperti anatomopatologici. Il “matrimonio” di queste due idee fu consacrato dalla Società Reale di Medicina.

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Rassegna Storica – Diagnosi & Terapia, PUNTI TRIGGER

Janet G.Travell, David G.Simons _ Dolore Muscolare _ Diagnosi & Terapia, PUNTI TRIGGER

Perché un problema così comune e così serio dovrebbe essere trascurato dalla medicina moderna?

Uno sguardo alla letteratura del passato aiuta a rispondere a questa domanda.

La letteratura sulle sindromi del dolore muscolare è molto ampia e spesso induce il lettore in confusione; vengono utilizzati molti termini che si riferiscono solo a una parte del quadro clinico dei punti trigger Miofasciali, e spesso tratta anche di altre patologie. Molti autori hanno fornito vari pezzi a questo “puzzle”, ma pochi hanno elaborato il quadro completo. Due pezzi “chiave” del quadro, che rimangono controversi sono la fisiopatologia del PT stesso, e l’eziologia delle bandelette palpabili. L’interesse clinico nel dolore di origine muscolare è aumentato e diminuito negli anni, mentre si sono susseguiti nuovi nomi e nuovi concetti causali, come “calli muscolari” per individuare dei focolai muscolari occasionalmente dolenti che venivano percepiti come cordoni tendinei o larghe bandelette e che erano collegati con importanti sintomi di dolore reumatico. Il nome e il concetto di essudazione seriosa furono concettualmente integrati da autori successivi, che, attribuivano tali cambiamenti al reumatismo muscolare o alla febbre reumatica.

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